La rivolta del pane, un nuovo bivio per il Mozambico

Agli inizi di settembre le proteste per l’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità hanno insanguinato le strade di Maputo: riemergono le contraddizioni di un paese in continua crescita ma con il 70% della popolazione sotto la linea di povertà.

La rivolta del pane. Così sono stati ribattezzati gli scontri che nei primi giorni di settembre hanno insanguinato le strade delle principali città del Mozambico, a partire dalla capitale Maputo, provocando almeno 17 morti e centinaia di feriti. Tre giorni di sommosse e di paura che hanno messo in evidenza una volta di più tutte le contraddizioni di questo paese, che molti osservatori giudicano un “caso di successo” nella realtà dell’Africa sub sahariana, ma che deve fare i conti con l’estrema povertà di gran parte della sua popolazione.

“Tutto è cominciato – spiega Figueiredo Rosario, il rappresentante del Cesvitem Mozambico – quando il 30 agosto il governo ha annunciato la fine dei sussidi sul pane, il cui prezzo ha avuto così un’improvvisa impennata del 30%. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, visto che pochi giorni prima altri beni fondamentali, come l’acqua e l’elettricità, erano aumentati quasi del 15%. Il popolo mozambicano è di natura pacifica, ma evidentemente si è raggiunto il punto di rottura: seguendo il tam tam degli sms, la gente è scesa in piazza per protestare, e le proteste sono ben presto sfociate in violenze e scontri tra i manifestanti e la polizia”.

Si sono così ripetute le scene del 2008, quando per motivi analoghi (allora gli aumenti avevano toccato in modo pesante il settore del trasporto pubblico) nella sola Maputo le sommosse popolari avevano causato la morte di 6 persone. “Sembrava di essere in una città fantasma – racconta Figuiredo -, nessuno si azzardava ad andare in giro, tutti i negozi erano chiusi, l’aria era resa irrespirabile dal fumo dei copertoni bruciati dai manifestanti. La cosa più triste è stata la morte di due bambini, che tornavano da scuola con la loro uniforme e la loro cartella e che, senza nessuna colpa, si sono ritrovati nel mezzo degli scontri”. Uno degli epicentri della protesta è stato il quartiere di Maxaquene, dove tra l’altro i manifestanti hanno tentato l’assalto al Centro Esperanca. “Miravano al piccolo magazzino dove conserviamo i sacchi di cibo forniti dal Programma alimentare mondiale, con cui aiutiamo le famiglie più bisognose del progetto di sostegno a distanza Esperanga. Ma il nuovo cancello di ingresso che abbiamo da poco installato ha retto e non abbiamo avuto danni. Per il resto tutte le nostre attività sono rimaste bloccate per tutta la durata delle proteste e fortunatamente né i bambini né gli operatori dei progetti hanno subito danni o violenze”.

Se è vero che le proteste sono rientrate dopo la decisione del governo di ritirare o comunque ridurre sensibilmente i rincari, la calma è solo apparente: gli aumenti del prezzo del grano sui mercati mondiali, la svalutazione del meticais rispetto al dollaro e l’inflazione che viaggia ormai a doppia cifra non promettono nulla di buono per i prossimi mesi. “La reintroduzione delle sovvenzioni statali per calmierare i prezzi – conclude Figueiredo – è un provvedimento provvisorio, che sarà probabilmente rivisto a fine anno. Inoltre per finanziare questi sussidi il governo ha annunciato tagli agli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione, ma il timore è che l’esigenza di tagliare la spesa pubblica finisca per colpire ancora una volta i più poveri. E se consideriamo che il 70% dei mozambicani vive sotto la linea di povertà, le prospettive non sono certo delle migliori”.

Notizia del 15/09/2010 pubblicata su un giornale Mozambicano

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